Quando si parla di Cous Cous in Sicilia non si può fare a meno di pensare al Cous Cous Fest di San Vito Lo Capo.
Quest’anno si svolge a partire dal 19 settembre (https://couscousfest.it) occasione magnifica per esplorare decine di ricette. Ma comincio a spiegare le ragioni del titolo.
Se si cerca qualcosa sul cous cous, si trova che ha origine dai popoli del Maghreb, non molto di più. Se però si va più a fondo, nel campo delle ipotesi e delle opinioni (la mia, per esempio), ecco che “le popolazioni” del Maghreb diventano principalmente una: gli Imazigen (singolare Amazigh), che popolano tutta la fascia nordafricana da almeno 20.000 anni (da ritrovamenti di fossili umani paleolitici).
Strano popolo, così tanto diffuso, così tanto importante nella storia e assolutamente privo di un territorio definito. Popolo anche citato da testi egizi (3000 a.C.) e da sempre dedito al commercio fra le popolazioni della fascia sub sahariana e i porti del mediterraneo. Ma anche con le lontane terre Persiane e Indiane.
Del resto sia il cammello che il termine karwan (da cui carovana) hanno origine persiana. Probabilmente questa loro vocazione al commercio fu così tanto diffusa che non ebbero un legame particolarmente forte con nessuno dei territori in cui praticavano commercio stanziale, dal Marocco all’Egitto.
Questo portò alla loro suddivisione in varie tribù, come i Mauri (Marocco), i Libi (Libia), i Numidi (Algeria), i Tuareg (in giro da qualche parte).
Chi è diviso è più soggetto alle dominazioni cosicché, sin dal primo secolo a.C., furono colonizzati dai Fenici, dai Greci, dai Cartaginesi, dai Romani.
Forse solo questi ultimi diedero loro la forza dell’unione, quando Roma aiutò Massinissa (e poi Giugurta, Giuba) a consolidare un suo regno, grazie al suo aiuto a Scipione che aveva consentito la sconfitta dei Cartaginesi.
E poi anche i vandali, gli arabi, i francesi…
Curiosamente, proprio i Greci e i Romani li identificarono col nome (dispregiativo) che si dà a chi non parlava latino o greco: oi Barbaroi cioè i barbari.
Poi il latino lo impararono, eccome: in queste zone nacque un Santo e filosofo (S. Agostino di Ippona), Papi (Vittore, Melchiade, Gelasio), un Imperatore (Settimio Severo), ma quel nome rimase anche quando arrivarono i Vandali e quando la zona fu invasa da Bisanzio.
Gli arabi, non capendo niente della loro lingua, li obbligarono a imparare l’arabo. Poi i francesi “storpiarono” il termine in Berbér.
Ma ancora oggi, gli Imazigen (che poi vuol dire “uomini liberi”) hanno una loro lingua e una loro scrittura.
La loro caratteristica principale è l’adattabilità anche alle condizioni più ostili alla vita.
I Tuareg si vestono di lana, che serve a non disperdere l’umidità del corpo di giorno e a difendersi dal freddo notturno del deserto.
Nei loro viaggi sono aiutati da un animale straordinario: il cammello. Capace di resistere anche una settimana senza bere, di bere acqua salata, di mangiare cespugli spinosi, di utilizzare le riserve di grasso nelle gobbe, non mangiando per decine di giorni.
Per questo, hanno trovato il modo di assimilare le doti del cammello.
Il cous cous è grano macinato grossolanamente, quindi con mezzi assolutamente economici, due pietre. Si può trasportare, pesa poco e non si altera in assenza di umidità e la cottura tradizionale di questo grano si può fare in due maniere: se si ha a disposizione una fonte di calore (l’energia è sempre stata un lusso per l’uomo) si usa il vapore d’acqua, anche salata (il sale non evapora!).
Si usa poi una “couscoussiera”, pentola di ceramica col fondo munito di piccoli fori per far passare il vapore (tralascio i dettagli); se invece non si dispone di calore, si può tenere a bagno il grano in acqua, per un tempo maggiore.
Anche in questo caso si può usare acqua salmastra, dà sapore.
Quindi anche il cous cous, come il cammello, può usare l’acqua salmastra di alcune oasi del Sahara (ci sono dei laghi, nel nord del Ciad, gli Ounianga, che sono da sempre tappa per le carovane). Come il cammello si nutre con qualsiasi vegetale, anche il cous cous si può preparare con qualsiasi “companatico” e ha una proprietà che aiuta i Tuareg a essere più “cammelli”: un cammello è in grado di ingerire anche più di cento litri d’acqua in pochi minuti, creando una scorta per i viaggi nel deserto (qui mi viene voglia di raccontare una barzelletta, ma poi mi cacciano dal giornale…).
Il grano spezzato assorbe una gran quantità di acqua, circa tre volte il proprio peso quindi quest’acqua, che nel deserto è preziosissima, verrà rilasciata nello stomaco del carovaniere: non si spreca per cuocerla e si fa scorta per il giorno successivo.
Pensiamo a quanta acqua gettiamo via ogni volta che prepariamo gli spaghetti…
Un appunto sul cous cous reperibile in Italia. Ovviamente non si può avere il grano macinato grossolanamente fra due pietre, quelli in vendita sono tutti prodotti industriali, certificati per l’igiene e la qualità. Ci sono grane fini e medie, secondo me è solo una questione di preferenze personali, così come per quello integrale.
Però occorre fare una differenza fra cous cous tradizionale e bulgur (o anche maftoul) tradizionale.
Il bulgur è grano germogliato, cotto al vapore, essiccato e quindi spezzato. Probabilmente discende da grano conservato a lungo, che ha trovato un po’ di umidità e alla fine è germogliato e quindi, per non perderlo, lo hanno subito cotto, poi essiccato e infine conservato di nuovo: nel deserto non si butta via niente!
Ma c’è un tipo di preparazione che necessita di bulgur: la preparazione con liquidi freddi quindi senza cottura. Tra questi c’è il tabbouleh, che si prepara proprio col bulgur usando il succo o l’acqua di vegetazione delle verdure e degli agrumi.
Però al supermercato si trova quasi esclusivamente il “cous cous” precotto. In realtà è un bulgur non germogliato! È molto, molto più veloce da preparare, molto, molto più comodo cucinarlo così! Comunque ci sono siti specializzati in cibi etnici e vegan che offrono il bulgur.
Per noi siciliani, il miglior modo di prepararlo è alla maniera del trapanese, con un brodo di pesce. Magari anche con un pizzico di cannella.
Probabilmente il cous cous ha generato molti figli e nipoti.
Così in Spagna usano il riso, forse la paella è un discendente del cous cous. In fondo, anche la Spagna fu invasa dagli Amazigh – Berberi assieme agli Arabi.
In Sicilia e in Campania è anche usato il grano intero per le preparazioni dolci, la cuccìa e la pastiera.
In Sardegna usano la fregula, in fondo usano la farina per poi aggregarla in “palline” simili al cous cous.
©Adelfo Carcaci
