20.9 C
Palermo
mercoledì 18 Giugno 2025

Giulio Barocchieri intervistato da Tiziana Iannotta

Ritratto di Autore: intervista a Giulio Barocchieri, musicista
nato a Palermo nell’anno 1976

Palermo racchiude molti tesori, compresi fra questi, Artisti degni di nota.

I. Come è nata in te la passione per la musica?

B. Non è una passione trasmessa dalla famiglia.

A 7/8 anni scoprii un programma di 3 note polifoniche e, ad orecchio, sul mio VIC 20, riprodussi temi musicali che ascoltavo su vinili che avevo in casa, per es. Toccata e Fuga in Re min. di Johann Sebastian Bach.

Cominciò così il mio rapporto con la Musica che poi, alla scuola media inferiore, suonando il flauto, si è risvegliato ed approfondito cominciando a leggere anche le partiture con le note sul pentagramma, tutto merito di una brava insegnante di Musica.

Ricordo in particolare un mio saggio in cui eseguii con il flauto la Romanza n. 2 in fa maggiore opera 50 per Violino ed Orchestra di Ludwig van Beethoven (per intenderci quella della pubblicità della Vecchia Romagna).

Poi un giorno arrivò a casa una Chitarra classica, dono di un mio zio che cantava, ai miei fratelli, che cominciarono a suonarla mentre io continuavo ad esercitarmi con il flauto.
Ma accadde un fatto, di cui ricordo esattamente il momento: il 2 febbraio del 1990, mentre i miei fratelli non erano in casa, presi la chitarra in mano e cominciai a suonare.
Avevo 13 anni e in quel momento cominciò uni dei rapporti più importanti della mia vita: quello con la Chitarra e la sua musica.

Un rapporto totalizzante, d’amore e d’odio, di delusioni e gioie, scoramenti e felicità, fatica e soddisfazioni.
Il mio percorso di vita cominciò ad essere rielaborato in modo musicale, scrivendo partiture e cominciando a “pensare in musica”.
Poi ho cominciato a suonare in varie band locali, ho portato avanti progetti con il Conservatorio Musicale di Palermo “Alessandro Scarlatti”, genio musicale palermitano del XVII sec. (Conservatorio che allora si chiamava Vincenzo Bellini)

Sono anche andato a Milano, presso il CPM diretto da Franco Mussida, dove ho conseguito il Diploma in Chitarra Pop Fusion, con il massimo dei voti ed ho cominciato ad insegnare lì.
Nel 2003, un amico chitarrista che mi conosceva, mi chiamò da Palermo per prospettarmi una collaborazione con Davide Enia, autore di testi teatrali.
Così ritorno e divento l’autore delle musiche e l’esecutore delle medesime in scena di tutti gli spettacoli teatrali di Davide: Maggio 43, I capitali dell’infanzia, Scene da una frontiera (2017) l’Abisso (2018), Italia Brasile il Ritorno (2022), unica volta in cui, oltre a me c’era anche un batterista in scena, Madrigali di Rivolta (2023), Autoritratto (2024)

I. So che avete rappresentato con successo questi spettacoli non solo a Palermo, ma in molti teatri italiani e che siete andati anche all’estero.

B. Essenzialmente abbiamo lavorato con molti Teatri Stabili, alcuni dei quali prestigiosi:

Il Piccolo di Milano, il Teatro Argentina a Roma, il Teatro dell’Archivolto a Genova, il teatro Greco di Siracusa, dove abbiamo portato Abisso, e poi il Teatro Biondo a Palermo, l’Ambasciatori a Catania, Napoli.
Inoltre ci siamo esibiti per l’Istituto Italiano di Cultura a Parigi ed a Lisbona.

I. Nell’immaginario collettivo il musicista è un artista che vive una vita un po’ sregolata e chissà quali avventure… Ma io so che tu hai una bella moglie e due ragazzine in crescita. Come fai a conciliare le tournée e la vita familiare?

B. È abbastanza complicato. Quello del musicista è un lavoro vero, anche fiscalmente, pertanto va affrontato in modo adulto, sapendo che puoi stare fuori anche molto tempo.
Per fortuna ho trovato in mia moglie e nelle mie figlie persone che comprendono tutto questo e che accolgono con amore e disponibilità i miei impegni altrove.
Cosa che non fecero tanto i miei genitori quando, a 23 anni, me ne andai da casa per inseguire la mia passione musicale. Erano preoccupati che questa passione non potesse darmi una reale indipendenza lavorativa ed economica.

I. Ed invece tu hai dimostrato che, a seguire fino in fondo le proprie passioni, si può costruire una vita piena e soddisfacente. Sono certa che ora siano orgogliosi di te. Ci sono altri musicisti in famiglia?

B. I miei genitori no, ma tutti i miei fratelli suonano: chitarra, basso.
Uno zio cantava, quello che regalò la chitarra ai miei fratelli maggiori.
Io sono l’unico, pur essendo il fratello minore, ad averne fatto una professione e ad essermi laureato con la triennale a Palermo, con il Maestro Francesco Buzzurro.

I. Conosco bene il Maestro Buzzurro, artista di livello internazionale, che spazia dal genere jazz al classico, al folk, sempre rivisitando tutto e dando ai brani un’impronta assolutamente originale e riconoscibile!

B. Si, Buzzurro è di altissimo livello internazionale ed è stata una fortuna avere questa esperienza con lui.

I. Che progetti hai adesso?

B. Al momento sto cercando di frequentare il Biennio per conseguire la Laurea Specialistica in Chitarra Jazz con Francesco Guaiana come docente, che si è specializzato al Berklee College of Music a Boston ed ha esperienze internazionali.

I. Quindi si può affermare verosimilmente che la tua “riuscita” come musicista sia dovuta a talento innato, fatica, studio, ottimi insegnanti ma anche ad un pizzico di fortuna? E come ti consideri nel panorama siciliano del tuo settore?

B. Proprio in questi giorni ho rivisto, per l’ennesima volta, il film Ennio (di Giuseppe Tornatore, bagherese, Premio Oscar) e stavo proprio riflettendo sul fatto che Ennio Morricone, Premio Oscar alla carriera, per quanto fosse un musicista dotatissimo, dovesse la sua fortuna a Sergio Leone, che ha capito che la sua musica, benché di formazione assolutamente classica, poteva essere benissimo l’accompagnamento e l’esaltazione dei suoi film “spaghetti western”.

La fortuna è sempre un elemento importante. Quello che bisognerebbe cambiare il Italia è il sistema della raccomandazione. Infatti qui il raccomandato è quello che ha bisogno di un aiuto perché da solo “non ce la fa”, magari anche soltanto perché non ha spirito imprenditoriale e inoltre ci vorrebbe anche più collaborazione fra artisti, dovremmo aiutarci di più fra di noi, essere meno chiusi.

I. Infatti, mi consta che nel Regno Unito e, comunque, nei paesi anglo-sassoni non esistono le “raccomandazioni”, bensì le “referenze”, che promuovono persone che sanno fare, che hanno talento e che hanno studiato, non persone a cui mancano tutti questi requisiti e inoltre c’è tanta collaborazione fra i musicisti, anche i più famosi. E a Palermo si muove qualcosa?

B. Oggi a Palermo si stanno facendo dei nuovi progetti, soprattutto di genere Indie rock, con giovani autori, mentre nel panorama nazionale diciamo che c’è abbastanza banalità. Oggi la musica è diretta ai giovani, ma sembra restare molto in superficie, costituendo un puro momento di svago, ludico, il che va benissimo però non costruisce “coscienza”, che ritengo personalmente sia il ruolo che un musicista dovrebbe assumere nella nostra società.

La mia generazione ha avuto autori che hanno scandito la nostra crescita nel tempo, mentre oggi tutto è troppo effimero, senza radici. Un brano, anche di successo, dura una stagione, se va bene, un anno e poi cade nel dimenticatoio.
Prima i musicisti avevano una cifra stilistica originale, riconoscibile e duravano nel tempo. Io riconosco un brano di Pat Metheny (gruppo jazz 1977) fin dalle prime note. Ora è tutto molto meno riconoscibile, più omogeneo, se vuoi più grigio.

I. Neanche Giovanni Allevi può incarnare la Musica alta, educatrice, che fa riflettere, secondo te?

B. La musica per pianoforte ha avuto ben altri momenti di splendore. Non dico di tornare ai livelli di Chopin, Mozart, Bach, Beethoven, ma Einaudi, Allevi, sono più semplici, emozionali: bisogna capire se la loro musica durerà nel tempo.

I. Qualcuno ha detto che dopo la dodecafonia di Schönberg, Berg e Webern la musica è finita…

B. Secondo me oggi il problema è tutto nella formazione dei musicisti.
Mentre nei Conservatori Musicali prima si studiava per molte ore lo strumento scelto e facevi molto solfeggio, oggi, che sono diventati Università, se va bene, facciamo un’ora di strumento a settimana, mentre facciamo tante altre materie, come Improvvisazione ed altre.

Inoltre c’è anche il problema della parcellizzazione delle materie: per es. Prassi e Musica d’Insieme: se nella prima studio Peter Bernstein, jazz moderno, nell’altra studio Cole Porter, che faceva il jazz per il musical americano anni 30-60: per carità è importante conoscere ma non c’è una pratica integrata e strutturata che ti formi davvero.
Secondo me il Conservatorio andrebbe ripensato nel fare musica ogni giorno, con molta più pratica e solfeggio, cosa che è rimasta nell’approccio alla musica classica, ma che manca nell’insegnamento di tutti gli altri generi musicali.
Se hai la tua cifra stilistica sei riconoscibile, oggi questo sembra più lasciato al caso.

I. Quindi potremmo dire: meno Accademia astratta e più lavoro duro e studio ogni giorno. Un’ultima curiosità personale. Ho scoperto che il tuo vero nome è Ernesto: come mai ti fai chiamare Giulio?

B. Ho scoperto di chiamarmi Ernesto quando sono andato a fare la carta d’identità valida per l’espatrio a 14 anni, in famiglia tutti mi hanno sempre chiamato Giulio.
A quanto pare mio padre mi aveva registrato all’anagrafe Ernesto, Giulio, motivo per cui questo nome, posto dopo la virgola, era decaduto, perciò se qualcuno mi chiama Ernesto so che non può essere altro che della Banca o dell’Agenzia delle Entrate!

I. Infatti noi continueremo a chiamarti Giulio anche se Wilde esaltò ”L’importanza di chiamarsi Ernesto”!
Grazie Giulio, a presto!

B. Sono io che ringrazio te, arrivederci.

©Tiziana Iannotta

Related Articles

Stay Connected

3,073FansLike
291FollowersFollow
485FollowersFollow
986SubscribersSubscribe
- Advertisement -

Latest Articles