Prima dell’unificazione d’Italia nel 1860, la Sicilia non era una terra marginale o arretrata come spesso è rappresentata. Al contrario, faceva parte del Regno delle Due Sicilie, uno degli stati più ricchi, avanzati e influenti dell’Europa meridionale. La Sicilia, con la sua posizione strategica nel Mediterraneo, il suo fertile territorio agricolo e le sue fiorenti attività culturali e commerciali, era un fulcro di prosperità e civiltà.
Nel XIX secolo, la Sicilia vantava una delle economie agricole più sviluppate del continente. La produzione di grano, vino, agrumi e zolfo-quest’ultimo particolarmente importante per l’industria europea – rappresentava una fonte di grande ricchezza. Il porto di Palermo era tra i più attivi del Mediterraneo, e città come Catania e Messina erano vivaci centri commerciali, collegati a rotte marittime internazionali. Il Regno delle Due Sicilie, cui la Sicilia apparteneva, era il terzo stato europeo per produzione industriale dopo l’Inghilterra e la Francia. Nella Sicilia orientale, in particolare, si svilupparono industrie legate all’estrazione mineraria, alla lavorazione dei prodotti agricoli e alla costruzione navale. Contrariamente alla narrazione secondo cui il Meridione era arretrato, la Sicilia e il Regno delle Due Sicilie vantavano numerosi primati: la prima ferrovia italiana fu inaugurata nel 1839 tra Napoli e Portici, ma anche in Sicilia si stavano progettando infrastrutture all’avanguardia. Il telegrafo elettrico era già attivo e vi erano piani per espandere le linee ferroviarie e modernizzare i porti. Il Regno vantava una flotta mercantile tra le più grandi d’Europa, e l’arsenale navale di Castellammare di Stabia (con collegamenti anche con i cantieri siciliani) costruiva navi a vapore di ultima generazione.
Palermo, definita “la capitale colta del Sud”, ospitava università e accademie di prestigio. Le scuole erano gratuite per le famiglie più povere e il livello di alfabetizzazione stava crescendo, anche se con ritmi diversi tra città e campagne. La Sicilia era anche un centro artistico e musicale. Il Teatro Massimo di Palermo, oggi uno dei più grandi d’Europa, era già in costruzione e rappresentava l’ambizione culturale dell’isola. L’annessione della Sicilia al Regno d’Italia nel 1860, attraverso la spedizione dei Mille guidata da Garibaldi, fu presentata come un’operazione di “liberazione”. Tuttavia, gli anni successivi videro una drammatica inversione di tendenza. Molte industrie furono chiuse o delocalizzate al Nord, le infrastrutture furono trascurate e la Sicilia entrò in un lungo periodo di marginalizzazione economica e politica. Le imposte aumentarono, il brigantaggio esplose, e un’enorme emigrazione verso le Americhe svuotò intere province. Ciò che era stato uno dei territori più promettenti del Mediterraneo fu trattato come periferia da colonizzare. Riscoprire la Sicilia preunitaria significa rivedere la storia con occhi nuovi, smentendo i luoghi comuni e rivalutando un passato di ricchezza, innovazione e centralità. Non si tratta di idealizzare un’epoca lontana, ma di riconoscere che la decadenza non è stata un destino inevitabile, bensì il risultato di precise scelte politiche e storiche.
La Sicilia ha brillato, eccome. E oggi, per costruire un futuro all’altezza del suo potenziale, è fondamentale ricordare quando-e perché -splendeva davvero. Il primo passo è riscoprire la propria identità storica. Troppo spesso, la narrazione dominante ha dipinto la Sicilia (e il Sud in generale) come un territorio da “civilizzare”. Occorre invece: promuovere la storia del Regno delle Due Sicilie nelle scuole e nei musei, sostenere la valorizzazione del patrimonio artistico, architettonico e musicale dell’epoca preunitaria, ma anche finanziare festival, produzioni culturali e documentarie che raccontino la vera storia siciliana, fuori dai cliché. Deve riscoprire i suoi punti di forza storici, ma aggiornarli al XXI secolo: investire in marchi territoriali, certificazioni DOP e filiere corte. L’arancia rossa, il pistacchio di Bronte, l’olio siciliano: non sono solo prodotti, sono simboli. Andare oltre il turismo “mordi e fuggi”, puntando su cultura, paesaggio, tradizione e ospitalità diffusa. Il sole, il vento e il mare sono risorse naturali che possono far diventare la Sicilia, un polo di eccellenza verde. Zolfo, miniere e industrie del passato possono oggi essere recuperate come attrattive culturali, ma anche come esempi di archeologia industriale utile per ispirare nuovi modelli produttivi. Come nei tempi d’oro, è fondamentale coltivare conoscenza e competenze locali: creare poli universitari e tecnopoli legate al territorio, ad esempio su agritech, mare, vulcanologia, archeologia e linguaggi digitali. Fermare la “fuga dei cervelli” con incentivi a rientrare, investendo in startup, innovazione e coworking rurali. Rafforzare le scuole nei piccoli comuni, per evitare lo spopolamento e creare legami tra giovani e territorio.
Uno dei temi centrali è la questione dell’autonomia: applicare realmente lo Statuto Speciale della Regione Siciliana, spesso ignorato. Usare meglio i fondi europei, tagliando burocrazia e clientelismi. Investire in una classe dirigente competente e radicata, che conosca la Sicilia e lavori per essa, non per scalare carriere nazionali. La Sicilia splendeva perché era una società viva, nonostante le sue disuguaglianze. Oggi, per rinascere, deve: combattere la mafia non solo con la repressione, ma con la cultura, il lavoro e la scelta concreta. Favorire il ritorno dei giovani emigrati e attrarre nuove energie, anche dall’estero. Rafforzare la rete delle comunità locali, cooperative, associazioni, piccoli comuni. Ripristinare la Sicilia che splendeva, non significa sognare un passato mitizzato, ma progettare un futuro degno della sua storia. Serve memoria, coraggio e azione. E soprattutto, serve crederci davvero. Perché la Sicilia ha tutto: storia, risorse, cultura, bellezza, intelligenza. Manca solo una cosa: la volontà condivisa di risplendere di nuovo.
©Claudio Di Gesù
Nelle foto di ©Giorgio De Simone:
Monumenti a Francesco Crispi in copertina e nell’articolo Vincenzo Florio, Giuseppe Garibaldi e il Giardino Inglese a Palermo