Verso l’entroterra della provincia palermitana a 45 chilometri dal capoluogo sorge in una conca a 500 s.l.m. Ciminna che una leggenda araba rievoca l’etimo del nome del paese, facendo riferimento alla parola “minna” che in dialetto siciliano significa mammella, strumento che simboleggia il nome della fertilità, in arabo s’indica con l’etimo “soemina”.
La mammella è perfino raffigurata nello stemma della città, quindi il nome Ciminna giungerebbe fuori dalla forma dialettale di “minna”.
Un’altra ipotesi è riferita ad una qualità d’uva da tavola dall’acino bislungo chiamato “ciminnita”, oggi scomparsa e che anticamente era coltivata in questo luogo e si chiamava “minna di pecora” o “minna di vacca” o semplicemente “minuta”, di conseguenza il territorio prendeva il nome dialettale “Unni ce a minuta”, unni ce a minna, ceaminna, Ciminna.
Paese prettamente agricolo con circa 5000 abitanti, nel XV secolo fu anche feudale, ebbe una fiorente economia ricavata da un’attività industriale e commerciale, che nel 1600 per la ricchezza e lo sfarzo della borghesia che vi abitava, il paese fu denominato “ Palermu lu nicu”.
Si trova allogato nello stesso sito dove esisteva un casale arabo di nome “Hesu”, autorevole dal punto di vista artistico e culturale, si presenta ricco d’opere d’arte e numerosi edifici storici sia civili sia religiosi di notevole importanza.
Qui sono state girate alcune tra le più belle scene del film “ Il gattopardo”, in modo specifico nella splendente cattedrale opera di Paolo Amato illustre compaesano ciminnese.
Da sempre ha saputo mantenere ben salde le sue tradizioni, è, ancora oggi, rincorre questa prerogativa fermentando nuove attività e iniziative d’ogni sorta.
Da diverso tempo esiste una scuola musicale per bande formando le più rinomate, di cui una ha avuto il privilegio di suonare all’opera di Parigi, ma il loro estro indubbiamente si manifesta nella festa locale per il Santo Patrono “San Vito” e, tanti pittori che lavorarono per le sue numerose chiese.
Nel panorama delle festività oltre quella del patrono è importante quella dedicata al SS. Crocifisso che si svolge la prima domenica di maggio ed il Venerdì Santo, organizzate dall’omonima confraternita che riserba antichi rituali.
Un’altra ricorrenza, che cade nel mese di gennaio, ha rispolverato l’antica festa di San Sebastiano che si festeggia il 20 con una sfarzosa processione che avviene la domenica successiva alla data.
Caduta nel dimenticatoio, la festa non si festeggia da un secolo, perfino gli anziani del paese ricordavano vagamente questa ricorrenza.
La statua del Santo cavaliere con tanto di stellario, difensore della fede cristiana e martire è in legno di ciliegio policromo del XVIII secolo giaceva nella soffitta dell’omonima chiesa sorta nel XVII secolo.
Un bellissimo simulacro che raffigura San Sebastiano ignudo legato ad un albero stroncato, il corpo del Santo è trafitto da numerose frecce che rendono pietà e compassione per l’espressione del suo giovane viso, difatti nell’iconografia classica egli subì il martirio con le ferite procurate dalle frecce scagliate dagli arcieri di Diocleziano che voleva convertirlo ai suoi Dei (Abiura).
Come sia arrivato a Ciminna questo culto pochi lo sanno, negli anni passati l’omonima chiesa ogni giorno si celebrava una messa particolare per il Santo, per ringraziarlo affinché egli si prodigasse per qualche raccolto o per qualche grazia ricevuta in tempi remoti in aiuto ai cittadini del paese, o qualche feudatario era devoto a questo Santo.
Dal duemila per il giorno venti tutto è ripristinato, la chiesa rimane aperte per tutto il giorno per l’adorazione eucaristica e il pontificale solenne in tributo al Santo.
Festa anche all’esterno nel pomeriggio i compaesani sono invitati a partecipare al tradizionale gioco della “ntinna”: una persona bendata, e con tanto di casco protettivo, è fatta salire sulla groppa di un asino da dove deve riuscire a colpire con un bastone delle “pignate di terracotta” con dentro generi alimentari e vestiario oppure animali come conigli e colombe.
Chiaramente l’asino destato dagli astanti sfuggirà alla volontà del concorrente e quindi sarà difficile colpire il bersaglio, il tutto con il più gran divertimento da parte degli spettatori.
Seguirà una fattispecie di “Palio” dove a concorrere saranno le galline, ogni membro di un quartiere gareggerà con il proprio esemplare con la gioia di tutti.
Conclude il divertimento la distribuzione dei “Cudduruna”, specie di pizza, i cui ingredienti principali sono l’olio e l’origano, tagliata a spicchi e arrotolata su se stessa e suddivisa tra gli spettatori.
A sera davanti al sagrato della chiesa, per motivi propiziatori è acceso un gran falò “vampa” e, tutti contribuiranno ad alimentarlo per spacciare vecchi pensieri.
La domenica, il fercolo con il santo oltre a piccole ghirlande esso è adornato da frutti d’agrumi (arance e mandarini), quale prodotto della terra stagionale, alla fine della processione dopo che saranno benedette andranno spartite ai fedeli.
Esce trionfante dalla sua sede per attraversare tutte le strade del paese, a portare in giro il simulacro ci pensano i ragazzi più robusti del paese, alle famiglie che abitano lungo le vie dove si svolge la processione illuminano la strada e ai balconi sono stese le coperte fatte a mano con l’effige del Santo, così come vuole la tradizione.
A sera inoltrata la processione torna nella sua chiesa e dopo la benedizione ha chiuso i festeggiamenti i giochi pirotecnici, concludendo un affascinante evento che coinvolge tutti gli abitanti del paese.